Biografia

Fausto Pirandello, Anticoli Corrado 1936. Foto di Emanuele Cavalli

1899-1925     

Fausto Calogero Pirandello nasce a Roma il 17 giugno 1899, ultimogenito di Luigi Pirandello e Maria Antonietta Portolano, dopo i fratelli Stefano (1895) e Lietta (1897). I figli del drammaturgo crescono in una casa in cui si respira arte e letteratura. Non sorprende allora la decisione di Stefano di seguire le orme paterne diventando anche lui scrittore (ricorrendo però allo pseudonimo di Stefano Landi) o quella di Fausto di dedicarsi alla pittura.

La geografia della carriera artistica di Fausto Pirandello vede Roma e Anticoli Corrado come punti fermi, a cui si aggiungono le vacanze che in gioventù trascorre con la famiglia in Sicilia – in quel Caos che aveva generato, allegoricamente e non, l’immaginario paterno – e il soggiorno parigino di tre anni che continuerà ad alimentare la sua pittura ben oltre gli anni Trenta.

Nel 1903 l’allagamento della zolfara siciliana dove i Pirandello avevano investito i loro averi segna in modo tragico la storia della famiglia. Ne risentirà soprattutto la madre, che già dopo la nascita di Fausto aveva mostrato i primi segni di quella fragilità mentale che l’avrebbe portata a trascorrere il resto della sua vita in una casa di cura a Roma, dal 1919 sino al 1959, anno della sua morte.

Il clima in cui si forma il gusto pittorico dell’artista è quello della Secessione: il simbolismo fin-de-siècle è evidente nelle primissime opere note, soprattutto autoritratti a matita e incisioni databili al 1921, che l’artista non esporrà mai in vita. Lo stile di questo periodo è influenzato in particolare da Sigmund Lipinsky, incisore presso il quale, dalla fine della Grande Guerra, Fausto segue per un anno un corso di disegno. Come gli altri “ragazzi del ‘99” infatti, era stato chiamato alle armi nel 1917, trovandosi costretto a interrompere gli studi classici al Liceo Tasso. Sarà però impossibilitato a partire a causa di una malattia polmonare che lo costringerà a trascorrere la parte finale del conflitto ricoverato presso un ospedale a Firenze. Lo stesso problema che lo tiene lontano dalla guerra lo aveva obbligato ad abbandonare la scultura, a cui si era avvicinato anche su consiglio paterno. Inizialmente, infatti, aveva intrapreso un periodo di apprendistato presso lo studio del maestro palermitano Ettore Ximenes, che aveva però dovuto lasciare presto non potendo lavorare a contatto con la polvere di gesso, ma anche per via di una maggiore predisposizione alla pittura.

Il suo primo dipinto datato è Composizione con nudi e pantofole gialle, del 1923. I nudi scorciati di questo periodo, di ricordo mantegnesco, trovano qualche punto di contatto con le atmosfere del Realismo Magico, ma già recano i segni di quella pittura materica che rimarrà suo segno stilistico distintivo.

È proprio all’inizio degli anni Venti che comincia a frequentare Anticoli Corrado, borgo in provincia di Roma già meta di numerosi artisti e letterati prima di lui. Lì si tenevano i corsi estivi di quella Scuola d’Arte degli Orti Sallustiani, fondata nel 1921 da Felice Carena e Attilio Selva, che Pirandello frequenta insieme a Emanuele Cavalli, Giuseppe Capogrossi e Onofrio Martinelli. Il piccolo paese si rivela fondamentale palestra di pittura, permettendogli di sperimentare una materia pastosa e bruna che modula soggetti naturali e bucolici. Si completa così la sua formazione artistica, non accademica, portata avanti da una costante ricerca autodidatta, alimentata dallo stimolante momento culturale in cui vive e dall’appassionata lettura di libri d’arte.

Nel borgo laziale Fausto Pirandello incontra anche la modella Pompilia D’Aprile (1898-1977), compagna di una vita e musa ispiratrice di molte sue opere.

1925-1927     

Le prime occasioni espositive si presentano per Pirandello a partire dalla metà degli anni Venti. Nel 1925, infatti, esordisce esponendo alla Terza Biennale romana Bagnanti, quadro a oggi ancora non identificato. L’anno seguente presenta alla Biennale di Venezia una Composizione. Partecipa a mostre di rilevanza nazionale anche nel 1927, come la XCIII Esposizione di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di Belle Arti, e successivamente la Mostra di Studi e Bozzetti dell’Associazione Artistica Nazionale di via Margutta.

In questi anni la pittura di Pirandello rivela una predilezione per i volumi plasticamente definiti e i colori terrosi, frutto anche della meditazione condotta su Felice Carena e Armando Spadini, che il padre Luigi considerava il più grande maestro di pittura dell’epoca. La critica sembra però registrare senza grande attenzione la presenza di Pirandello a queste esposizioni, dimostrandosi titubante di fronte a un artista percepito ancora come acerbo.

1928-1930     

Alla ricerca di nuova linfa vitale da infondere alla sua arte, all’inizio del 1928 Fausto parte insieme alla moglie per Parigi, dove già da tempo si era formata una comunità di artisti italiani. Gli anni parigini scorrono al ritmo della vita bohémienne di quanti, come lui, nella capitale francese erano alla ricerca di fortuna e ispirazione. Ripensando a questo periodo, Fausto riconoscerà come l’atmosfera parigina lo abbia aiutato a trovare una forma più sicura per le proprie figure, oltre che una via per la modernità.

Già l’anno seguente il suo arrivo, Pirandello è presente a una collettiva insieme agli amici Emanuele Cavalli e Francesco di Cocco, che lo avevano raggiunto nei primi mesi del 1928. La Contessa Maria Castellazzi-Bovy, in nome dell’amicizia con Cavalli, apre la sua casa per ospitare le loro opere, con ogni probabilità disegni.

Il 9 marzo 1929 espone con una personale alla Galerie Vildrac, realizzata forse anche grazie alla mediazione di Benjamin Crémieux, traduttore francese delle opere paterne. Nonostante in questa occasione riesca a vendere la sua prima opera, le recensioni generali non saranno pienamente positive, soprattutto per via della materia pittorica ritenuta eccessivamente pastosa.

Parigi, in ogni modo, sarà per l’artista un vero e proprio trampolino di lancio europeo, che lo vedrà esporre prima a Vienna, poi a Basilea e Berna. Nella capitale austrica, la Galleria Bakum ospita nel novembre 1929 una sua personale, probabilmente con gli stessi dipinti precedentemente presentati alla Galerie Vildrac. L’anno seguente l’artista partecipa alla Januar-Ausstellung Moderne Italiener di Basilea, con tre opere poi trasferite a Berna in occasione della mostra Artisti della nuova Italia.

Nel frattempo, Luigi Pirandello è all’oscuro della sua vita privata: sa che il figlio si trova a Parigi, ma non è a conoscenza della sua unione con Pompilia né della nascita, nell’agosto 1928, del primogenito Pierluigi. L’opportunità aperta dal soggiorno parigino per Fausto era infatti anche quella di poter trovare uno spiraglio di indipendenza dall’ingombrante figura paterna e cercare più liberamente la sua voce artistica. Negli scritti e nelle lettere, infatti, emerge come Luigi Pirandello apparisse agli occhi del figlio come un padre assente, un uomo e un artista assorbito interamente dalla sua professione.

1931-1934     

Dopo il periodo trascorso nella Ville lumière, Fausto Pirandello porta con sé un importante bagaglio culturale, fatto di consapevoli stratificazioni di surrealismo, cubismo e metafisica, che rilasceranno la loro carica innovativa gradualmente, tanto da poterne cogliere i frutti fino agli anni Settanta. In questo momento sono Cézanne e Picasso a emergere più chiaramente dalla fitta trama dei suoi riferimenti, evidenti in particolare in una rinnovata espansione delle masse, derivante dai volumi classicheggianti del ritorno all’ordine di quegli anni.

Si apre ora per Pirandello la stagione creativa che lo porterà alla consacrazione critica: viene associato a quella Scuola Romana che negli anni Trenta si andava formando nella Capitale, termine che raccoglieva in realtà un gruppo estremamente eterogeneo di artisti, accomunati da una generale ricerca tonale declinata nei modi più diversi.

Nella stessa produzione di Pirandello di quegli anni si possono individuare un sentimento e un’intonazione differenti, in quello che appare come un mutare di intenti più che una svolta radicale. La prima metà del decennio, infatti, forte dell’eredità francese, è caratterizzata da grandi composizioni in cui sembra avvenire quasi una mitizzazione del quotidiano. I personaggi di opere come Il bagno o Il remo e la pala, sono intenti in un dialogo silenzioso che si presenta come enigmatico, impossibile da comprendere.

È questo un periodo che vede Pirandello partecipare a numerose esposizioni, a partire dalla prima personale italiana ospitata nel 1931 alla Galleria di Roma, dove il pittore si presenta sia con opere eseguite a Parigi, sia con i più recenti lavori romani.

Nel 1934 è alla Biennale di Venezia, dove per la prima volta espone La scala, una delle opere più grandi e complesse di questo periodo, che lascia interdetti tanto i visitatori quanto i critici. Tra quest’ultimi emerge la voce di Virgilio Guzzi, critico e pittore – a cui l’artista farà un intenso ritratto – che per quasi quarant’anni lavorerà fianco a fianco con Pirandello, esponendo spesso insieme nelle stesse occasioni e scrivendo l’uno dell’altro. Guzzi, anche se riuscirà a cogliere con sguardo più analitico rispetto ad altri la vera natura dell’artista, agli esordi del suo dialogo con la pittura pirandelliana appare ancora non pienamente convinto proprio di quelle soluzioni iconografiche che tanto gli vengono rimproverate in questi anni.

Nonostante le indecisioni, la critica sembra però essersi finalmente accorta del pittore e le stravaganze della sua arte vengono in realtà accompagnate da parole di sincero apprezzamento. Pure in tale clima più favorevole, tuttavia, Pirandello continua a sentirsi insoddisfatto del suo lavoro, scoraggiato dallo stato della pittura e della critica del suo tempo, oppresso da un senso di incompatibilità con l’ambiente artistico romano.

1935-1938     

Il pittore è alla II Quadriennale romana con una sala personale voluta da Cipriano Efisio Oppo, dove può esporre ben diciassette opere: una rassegna eterogenea e variegata in cui gli esempi più monumentali vengono accostati ad ambienti più intimi.

L’estate del 1936 è l’ultima che trascorre accanto al padre. I Pirandello si recano ad Anticoli Corrado, nella Villa San Filippo, dove Luigi ha intenzione di completare la sua ultima impresa drammaturgica, I giganti della montagna. In realtà, lo scrittore abbandonerà quasi completamente la stesura dell’opera per dedicare i suoi pomeriggi alla pittura accanto al figlio, discutendo spesso con lui su questioni di estetica. Luigi Pirandello morirà nel dicembre dello stesso anno in seguito a una polmonite, poche settimane prima della nascita del secondogenito di Fausto, Antonio.

Intorno alla fine degli anni Trenta, l’attenzione del pittore si rivolge dalle atmosfere sospese degli anni precedenti a un sentire la realtà in maniera più drammatica e diretta. Sintomo di questo passaggio sono i gruppi di bagnanti, corpi tormentati che si riversano su spiagge infernali in una pittura che si fa ora più concitata e mossa.

1939-1945     

Partecipa alla Terza e alla Quarta Quadriennale romana, rispettivamente nel 1939 e nel 1943. Per avere una panoramica più completa della sua produzione di quel periodo, tuttavia, bisogna fare riferimento alla personale organizzata presso la Sala delle Mostre d’Arte alle Terme nel 1941, in cui viene esibito in maniera organica il nuovo atteggiamento artistico. La presentazione sul catalogo è firmata da Viriglio Guzzi: il critico si sofferma in particolare su nudi e bagnanti che più chiaramente esprimono una nuova commistione di sensualità e dramma.

Nell’estate del 1942 Pirandello si trasferisce per un certo periodo ad Anticoli Corrado che offriva un rifugio più sicuro rispetto all’incertezza della città. Tornerà a Roma solo nel gennaio 1944, dove, grazie a un permesso speciale dell’Accademia di Francia, ottiene di poter soggiornare con la famiglia fino al mese di luglio a Villa Medici. La casa offre ai Pirandello un contesto paradossalmente bucolico e sereno nella confusione di quei mesi, consentendo a Fausto di lavorare molto, ispirato dai giardini e dalle bellezze di cui era circondato.

I mesi trascorsi tra Anticoli Corrado e il ritorno a Roma scorrono scanditi da costanti partecipazioni a mostre ed esposizioni, in un contesto in cui artisti e critici lavoravano continuamente per cercare – nonostante la guerra, le difficoltà economiche e l’incertezza generale – di mantenere in vita l’attività culturale della Capitale. Nel 1943 ad esempio, Pirandello è nuovamente alla Quadriennale d’Arte Nazionale, che pochi mesi prima dei bombardamenti alleati riesce ad allestire la sua IV edizione. L’anno successivo la vita artistica romana trova invece nuovo slancio grazie all’inaugurazione della Galleria del Secolo, che solo nel 1944 organizzerà ben sei mostre, a cui Pirandello sarà sempre presente. L’ultima sarà proprio una personale a lui dedicata, composta da trentanove opere che riassumono il suo percorso artistico a partire dal periodo parigino.

1946-1949     

Gli anni del dopoguerra rappresentano per Fausto Pirandello un periodo di grande fermento stilistico. È sì un artista isolato, assolutamente unico nei risultati conseguiti, ma non estraneo a quanto accadeva nel mondo culturale intorno a lui. Il dramma che il conflitto mondiale aveva prodotto trova sfogo in un’arte che si esprime col supporto dei linguaggi astrattisti e cubisti. Si assiste, infatti, a una crisi del figurativo, che si cominciava a percepire come in contrasto con le certezze ormai perdute. In Italia poi, il non figurativo si trovava in mezzo a una vera e propria guerra artistica, combattuta su giornali e in sale espositive tra chi difendeva strenuamente l’astrattismo e coloro i quali si schieravano nel versante realista (primo tra tutti Renato Guttuso).

In un Paese che concepiva astrattismo e realismo come inconciliabili, Fausto Pirandello presenta le sue opere come un’alternativa al dualismo dominante: un linguaggio nuovo che mai rinuncia al dato reale, ora però sempre più frammentato e geometrizzato.

Figura che contribuisce a costruire la nuova identità di Pirandello in quegli anni è Lionello Venturi, arbiter elegantiae della pittura moderna, appena rientrato in Italia dopo l’esilio volontario che lo aveva condotto prima in Francia e poi negli Stati Uniti, per aver rifiutato di firmare il Giuramento di fedeltà al Fascismo. Il rapporto del critico con Pirandello sarà ambivalente, di stima sincera ma in alcune occasioni anche di scontro aperto. Nel suo tentativo di inquadrare il pittore nei ranghi dell’“astratto-concreto”, infatti, spesso ne traviserà il messaggio e le intenzioni.

Più difficile appare, proprio per una discontinuità stilistica e per la costante sperimentazione, la ricostruzione del percorso critico di questi anni, in cui continua la sua assidua frequentazione di Biennali, Quadriennali e gallerie private. Complessa risulta anche la datazione delle opere, che agli occhi dell’artista mai raggiungevano uno stadio di compiutezza e che erano oggetto di continui ripensamenti.

La vita artistica e culturale della nazione sembra tornare finalmente alla normalità nel 1948, quando sia la Quadriennale di Roma che la Biennale veneziana riaprono i battenti. Pirandello partecipa a entrambe le manifestazioni, ma il suo nome passa praticamente in sordina. Da questo momento, l’artista esporrà a tutte le successive edizioni delle Quadriennali romane, senza mai ottenere, però, una sala personale.

1950-1955     

A consolidare la sua fama in questo periodo contribuiscono alcuni scritti fondamentali. Nel 1950, nella collana di De Luca dedicata agli artisti contemporanei, compare la prima monografia a lui dedicata, scritta da Virgilio Guzzi. Era stato Pirandello stesso a chiedere al critico di scrivere il testo, dimostrandosi riconoscente per tutte le parole che aveva speso in suo favore nel corso degli anni. Il piccolo volume assume i tratti di un ricordo d’artista disegnato da un caro amico, in cui il pittore si erge a figura mitica ma allo stesso tempo vicina e conosciuta; una descrizione soprattutto psicologica, dove il critico preferisce delineare un ritratto intimo, piuttosto che concentrarsi sull’arte, occupandosi del problema posto dall’astrattismo solo nella parte finale del libro.

Nel 1954 invece, Venturi presenta su “Commentari” un saggio che costituisce la base per i pensieri e le riflessioni a seguire sulla pittura pirandelliana. In queste pagine ne ripercorre la carriera, consegnando un punto di vista che rimarrà sostanzialmente invariato negli anni: il testo passerà infatti attraverso svariate ristampe, venendo pubblicato con piccole revisioni in occasione di diverse presentazioni dell’artista in mostre e cataloghi.

I primi anni Cinquanta perciò – anche se la maggior parte della critica continua a comprendere con fatica la sua arte, riscontrando nella sua svolta stilistica difficoltà e asprezze eccessive – sono caratterizzati da importanti riconoscimenti e traguardi, tra cui spiccano la sua prima retrospettiva a Palazzo Barberini nel 1951 e il primo premio vinto alla Quadriennale dello stesso anno.

1956-1963     

La Biennale del 1956 segna un momento importante tanto nella produzione quanto nella vita di Pirandello. L’artista infatti, che pensava di avere in mano il Premio per la pittura italiana, lascerà la manifestazione amareggiato dopo che la vittoria sarà attribuita ad Afro Basaldella. La sala personale di Pirandello era presentata da Nello Ponente, altro critico che lo seguiva con attenzione, e vedeva esposte alcune delle opere più recenti. Nel comitato di attribuzione premi a Venezia vi era anche Lionello Venturi: sarà questo evento a segnare una rottura, seppur non definitiva, tra i due.

La distanza personale che si apre ora tra l’artista e il critico si manifesta nei toni più duri con cui Pirandello parla anche pubblicamente dell’arte astratta, come dimostra l’articolo Ordini imponderabili, pubblicato l’anno successivo su “La Fiera Letteraria”. Nel testo prende le distanze sia dall’Informale che dall’astrattismo razionale di Mondrian, rispondendo apertamente a Venturi e a Franco Arcangeli, in una pubblica accusa che sembra però non coincidere con le forme chiaramente astratteggianti di alcuni suoi quadri.

Nonostante ciò, a dimostrazione di quanto il rapporto tra Venturi e Pirandello si fosse in realtà presto risanato, vi è la lettera che il critico pubblica come presentazione della mostra ospitata alla Galleria La Tartaruga sempre nel 1956, dove si congratula per il maggiore distacco dall’oggetto raggiunto nei suoi quadri. Due anni dopo il nome di Pirandello compare nel volume Pittori italiani d’oggi, a fianco di Afro e Birolli ma anche di Mafai, confermando come l’artista venisse spesso associato e si trovasse a operare nello stesso contesto dei pittori del Gruppo degli Otto, nonostante le grandi differenze che intercorrono tra la sua arte e quella di alcuni degli artisti che avevano trovato in Venturi il loro più accanito sostenitore.

Gli anni del dopoguerra danno a Pirandello la possibilità di intensificare anche la sua attività espositiva all’estero, in particolare negli Stati Uniti, dove già dagli anni Trenta aveva avuto modo di partecipare all’International Exhibition of Paintings presso il Carnegie Institute di Pittsburgh. L’occasione più significativa arriva nel 1962, quando la Gallery 63 a New York, dopo aver esposto tre suoi quadri nella collettiva dedicata ai Modern Italian Masters, gli dedica una personale a partire dal 20 novembre dello stesso anno. Le opere sono introdotte in catalogo da Virgilio Guzzi, che sottolinea l’irrequietezza e le contraddizioni insite nella materia pittorica dell’artista.

1964-1975     

A coronamento di quasi quarant’anni di attività, arriva nel 1964 il prestigioso Premio Michetti, ricevuto a Francavilla al Mare. In quanto vincitore, l’anno successivo gli viene dedicata una sala personale in occasione della stessa manifestazione, dove si presenta con una decina di lavori degli ultimi venti anni.

Tra le mostre più importanti degli anni Sessanta, spiccano le personali ospitate alla Galleria La Nuova Pesa, nata da pochi anni a via Frattina da un’iniziativa di Alvaro Marchini, che aveva già invitato Pirandello alla mostra d’esordio 31 autori e 31 opere del rinnovamento artistico italiano dal 1930 al 1943. Le sale della galleria, diretta da Antonello Trombadori, ospitano Pirandello in due personali. La prima inaugura nell’ottobre del 1965: una vera e propria antologica di cinquantuno opere che partono dalla prima giovinezza per arrivare alle ultime prove. Esattamente tre anni dopo, nell’ottobre del 1968, l’artista presenta invece opere recenti. Accanto a quelle più grandi figurano anche numerosi pastelli, mezzo prediletto degli ultimi anni quando, costretto ad abbandonare la pittura a olio per problemi di salute, iniziano a comparire nella sua produzione numerosi disegni in cui la linea, ora sinuosa ora spezzata con colori accesi, rappresenta il termine della sua evoluzione artistica.

Sono anni in cui anche la sua partecipazione alle mostre si affievolisce sempre di più, fino ad arrivare a quella tenuta alla Galleria La Vetrata a Roma nel 1972, ultima personale che permette a Pirandello di presentare al pubblico non solo olii, ma anche pastelli e litografie. Sempre nel 1972 l’artista è presente per un’ultima volta alla Quadriennale romana, chiudendo in modo circolare la sua attività espositiva nella stessa manifestazione che nel 1935 lo aveva portato al primo importante riconoscimento critico.

Il suo temperamento timido e isolato si acuisce in questi ultimi anni che trascorre nella casa in via degli Scialoja. Morirà a Roma per un enfisema polmonare il 30 novembre 1975.

Biografia a cura di Ester Garasto

Pierluigi Pirandello accanto alla scultura “L’anfora di Amleto Cataldi” (modella: Pompilia D’aprile), Roma 2017. Foto di Karmen Corak

Pierluigi Pirandello (Parigi 1928 – Roma 2018) era il primo figlio di Fausto Pirandello, nato dall’unione con la celebre modella anticolana Pompilia D’aprile. Pur scegliendo di studiare legge e di intraprendere la professione d’avvocato, lavorò per tutta la vita alla valorizzazione dell’opera sia del nonno Luigi, sia del padre Fausto. Ancora prima di istituire nel 2011, insieme alla moglie Giovanna Carlino, la Fondazione Fausto Pirandello, nella sua casa di via degli Scialoja organizzava con grande passione ed entusiasmo letture, spettacoli e mostre dedicate ad artisti emergenti.

La Fondazione Fausto Pirandello, da lui fortemente voluta, lavora oggi anche in suo ricordo, continuando a realizzare iniziative con la consueta vitalità.